San Giuseppe a Leonessa

San Giuseppe da Leonessa (RI)
Sacerdote Cappuccino (1556-1612)
approfondimenti:
L'identità di San Giuseppe svelata dalla ricognizione
delle reliquie
- di mons. Giuseppe Chiaretti

Giuseppe Desideri, terzo di otto figli, nacque a Leonessa (Ri) l'otto gennaio 1556 da Giovanni e Francesca Paolini. Nel battesimo ricevette il nome di Eufranio, dal significato molto bello: portatore di gioia. Sui tredici anni Eufranio rimase orfano di ambedue i genitori e si prese cura di lui lo zio paterno Giovanbattista Desideri che lo condusse a Viterbo per fargli continuare gli studi, iniziati nella sua patria.
Nel 1571 si trasferirono a Spoleto dove lo zio fu chiamato all'insegnamento delle Lettere. In questa località, all'insaputa dello zio e degli altri parenti, Eufranio decise di entrare nell'Ordine dei Cappuccini che aveva conosciuto da poco, mentre veniva costruito il convento di Leonessa. 
A sedici anni indossò l'abito cappuccino ad Assisi. Fin dal noviziato egli praticava la più rigorosa mortificazione: si sceglieva l'abito più povero e rifiutato da tutti; tutti i giorni durante le quaresime, e per tre volte la settimana negli altri tempi, viveva di solo pane e acqua; ed infine martoriava il suo corpo con orribili penitenze. 
Spesso passava la notte intera davanti all'immagine del suo Signore crocifisso contemplando i misteri della Passione e cercava di riviverli nelle sue penitenze. Se poteva andava ogni ora a fare visita al Santissimo Sacramento. Si confessava quasi quotidianamente per cancellare dalla sua anima ogni minima traccia di peccato. 
Ordinato sacerdote, il 24 settembre 1580, ad Amelia (Tr), iniziò il suo fecondo apostolato tra le popolazioni dell'Umbria, dell'Abruzzo e del Lazio. Tanta era la fiamma dell'amore divino che lo infuocava e lo spingeva con ardore apostolico in mezzo agli uomini, che riposava poche ore la notte per portare con sollecitudine sollievo ai poveri e ai sofferenti. Il suo desiderio più ardente era quello di morire martire per la fede. 
Nel mese di agosto 1587 ottenne il permesso di andare missionario in Turchia. Dopo aver lucrato il "Perdono di Assisi", partì per Venezia dove si imbarcò per Costantinopoli prendendo alloggio in un vecchio monastero a Pera. Si prese cura dei tanti cristiani prigionieri dei turchi, rapiti nelle varie scorrerie compiute da questi in Italia, confortandoli in tutti i modi possibili e invitandoli a non lasciare il Vangelo per seguire la dottrina di Maometto. Era infaticabile nelle opere di carità e di misericordia. Una epidemia gli portò via tutti i compagni, eccetto fra Gregorio da Leonessa. 
Cominciò allora predicare Cristo per le strade e alle entrate delle moschee. Un giorno si introdusse nel palazzo del sultano, Murad III che, presolo per pazzo, lo scacciò via dalla sua presenza facendolo condannare al crudele e doloroso supplizio del gancio. Giuseppe non aspettava altro: morire per la religione cristiana era il suo grande desiderio! Aveva 33 anni, come Gesù, sul monte Calvario. Resistette per tre giorni e, secondo gli atti della canonizzazione, venne liberato da un angelo che lo guarì anche dalle ferite. 
Segnato dalle stigmate del martirio, fece ritorno in Italia e, nel mese di dicembre del 1589, riprese con raddoppiato zelo la sua attività apostolica. Iniziò il suo girovagare per il centro della nostra penisola arrivando a predicare fino a 6-8 volte al giorno. 
I miseri, gli abbandonati, la gente dispersa dei paesini montani, i pastori che vivevano lontani dal consorzio umano, erano fatti oggetto delle sue attenzioni e delle sue premure, anche attraverso l'istituzione dei monti frumentari per combattere la piaga dell'usura, pure a quel tempo molto diffusa, ed assicurare loro la sussistenza. 
Si fece letteralmente tutto a tutti. 
Aveva tanta forza e coraggio nel richiamare i cuori più induriti, tanto da non aver timore di rimproverare apertamente i signorotti del tempo, come il Barone Orsini di Amatrice. 
Uno dei mezzi principali da lui usati per il rinnovo della vita religiosa fu la pratica delle Quarant'ore. Era una specie di missione popolare. Ad ogni ora d'adorazione seguiva una predica. Alla fine delle Quarant'ore padre Giuseppe innalzava su una collina vicina al paese una croce a ricordo della missione, croce che egli stesso portava sulle spalle. 
Questo duro apostolato durò per ben ventidue anni, continuamente nutrito e potenziato dalla preghiera e dalla penitenza. Questi viaggi apostolici gli procuravano fatiche a non finire, ma provava grande gioia nel servire il Signore nei fratelli. 
Per il Giubileo del 1600 padre Giuseppe si preparò con un anno di digiuno, di preghiere e di penitenze, recandosi poi a Roma da Otricoli (Tr), dove si trovava a predicare, per lucrarne l'indulgenza. 
Nel mese di ottobre 1611 predicò per l'ultima volta a Campotosto (Aq). Era il 18, giorno della festa di san Luca. 
Tornò al convento di Amatrice appoggiandosi al suo bastone. Era minato da un male incurabile che ben preso lo avrebbe condotto alla tomba. 
Si recò a Leonessa alla fine del mese, restandovi circa dieci giorni: era l'ultimo incontro con i parenti, con i paesani, con la sua patria di origine. Lungo la strada del ritorno ad Amatrice benedisse la sua Leonessa con parole che ancor oggi commuovono i suoi paesani. 
Nel convento di Amatrice celebrò l'ultima santa Messa il 28 dicembre, festa liturgica dei santi Innocenti. Il male peggiorava di giorno in giorno, le forze gli venivano meno. Volle ricevere ogni giorno la comunione fuori della sua cella, perché non riteneva opportuno che Gesù eucaristico entrasse nel suo povero tugurio. Il due febbraio fu operato dal medico di Amatrice, Severo Canonico. Una operazione inutile e dolorosa. Giuseppe accettò, per ubbidienza, le sofferenze con coraggio e rassegnazione rimettendosi alla volontà del Signore tenendo tra le braccia il suo amato crocifisso. Il tre febbraio il chirurgo tentò un altro intervento con la speranza di strapparlo alla morte, tutto risultò inutile. 
Sorella morte lo chiamò nel pomeriggio del sabato quattro febbraio, mentre Giuseppe invocava la Madre del cielo; furono le sue ultime parole su questa terra: "Sancta Maria succurre miseris"
La sua morte diede adito ad una sorta di gara tra le popolazioni amatriciane, ognuno voleva accaparrarsi qualche sua reliquia: da tutti era ritenuto "Santo". 
Fu beatificato nel 1737 e il 29 giugno del 1746 nella Basilica di san Giovanni in Laterano fu elevato alla gloria dei Santi dal papa Benedetto XIV, insieme a san Camillo de Lellis, suo contemporaneo e abruzzese come lui. Il Papa disse: «Negli ultimi secoli è difficile trovare uno che più di lui si sia dato alle penitenze e alle mortificazioni». 
San Giuseppe riposa a Leonessa, tra i suoi paesani, nel Santuario eretto in suo onore nella casa paterna che lo vide nascere. Nel 1950 Pio XII lo ha proclamato patrono delle Missioni in Turchia. Il due marzo 1967 il Papa Paolo VI lo ha proclamato "Patrono principale" dell'Altopiano leonessano. 
La festa liturgica in suo onore si celebra il 4 febbraio, giorno della sua morte. 

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